Oggi è ufficialmente l’ultimo giorno di scuola di un anno a dir poco “stra-ordinario”. Tutte le nostre abitudini si sono prima arrestate e poi sono state travolte. Il Covid ha cambiato anche la scuola con nuove opportunità ma anche nuove “problematiche”. La didattica a distanza, protagonista di una scuola 2.0, ha fatto aumentare il tempo di connessione in rete da parte di bambini e ragazzi: con esso sono aumentati gli episodi di cyberbullismo.
La Fondazione Carolina Picchio – un punto di riferimento per il monitoraggio del fenomeno – restituisce un ritratto del periodo piuttosto allarmante. Nel solo mese di marzo, l’organizzazione ha ricevuto 278 segnalazioni legate a un uso distorto della rete: gli episodi di cyberbullismo si sono quintuplicati (la media mensile in genere è di 50) e non vedono coinvolti solo i ragazzi ma anche gli insegnanti.
In particolare, alla Fondazione sono pervenute 145 (52%) segnalazioni le cui vittime sono studenti: per lo più si tratta di condivisioni di foto personali e insulti sui gruppi WhatsApp. Altre 74 (27%) telefonate vedono protagonisti i docenti: hanno “subito” condivisioni di foto modificate, insulti durante le video lezioni e intrusioni da parte di estranei non autorizzati nella didattica online. Ma c’è anche molto altro: 23 casi di sexting, 11 di revenge porn e 25 segnalazioni di gruppi Telegram in cui vengono diffuse immagini di minori.
Neanche aprile mostra dati incoraggianti: la Fondazione ha registrato 121 segnalazioni con vittime tra i ragazzi e 89 con vittime tra i docenti, 9 casi di sexting e 4 di revenge porn, 23 i gruppi su Telegram in cui vengono diffuse indebitamente immagini di minori, con anche un episodio di adescamento (Cfr. Il Fatto quotidiano 14 aprile 2020).
I ragazzi ai tempi del Coronavirus sono stati più connessi e quindi più esposti. L’occasione e la scarsa consapevolezza rendono il ragazzo/a bullo, protagonista di azioni con conseguenze non sempre a lui/lei note. In fin dei conti bastano 60 secondi per caricare un video e con un semplice “click” su Whatsapp (o altro) è possibile inoltrare qualsiasi messaggio diffamatorio, ingiurioso, mendace. E’ così facile che sembra quasi non essere vero, sembra “senza conseguenze”. Pochi secondi per rovinare una vita, complice la rete che, strutturalmente istantanea e replicabile all’infinito, produce effetti irreparabili: spesso la vittima non è in grado, non ha i mezzi per fermare la foto, il video, il messaggio. Il tempo è determinante e i crimini digitali rischiano di rimanere in rete per sempre: la vittima si sente così condannata a vita, senza via di scampo con conseguenze dolorosamente note.
Tutto questo deve farci riflettere sulle motivazioni che portano a operare attacchi di cyberbullismo, anche e oltre il Covid 19. Spesso i “perché” risiedono nella noia, nella ricerca della visibilità, della notorietà anche per un solo momento. Per lo più si tratta però di comportamenti inadeguati e “slegati” dalla consapevolezza delle conseguenze, sia per l’altro sia per se stessi.
Sì, perché i bambini e i futuri ragazzi hanno bisogno di un’educazione non solo all’utilizzo responsabile del mezzo digitale quanto, soprattutto, al rispetto dell’altro e alla gestione del conflitto. Un bambino “formato” sui rischi e le conseguenze di un errato utilizzo dei mezzi digitali, sarà un ragazzo e poi un adulto più consapevole. Un bambino che ha imparato cosa vuol dire ascoltarsi e ascoltare le emozioni e i bisogni dell’altro sarà meno a rischio sia dal diventare un bullo sia dall’esserne vittima.
Questo compito “educativo” però non spetta solo ai genitori, ma è compito di tutta la comunità civile a partire sicuramente dalla famiglia ma con il supporto costante della scuola, dello sport e delle istituzioni.
La nostra associazione negli ultimi anni ha avviato progetti di mediazione scolastica nelle scuole elementari e medie (purtroppo bruscamente interrotti dalla pandemia) per la prevenzione del bullismo e cyber-bullismo attraverso l’educazione alla gestione del conflitto. Nativi digitali e bravissimi nell’utilizzo del mezzo di cui spesso dispongono fin dagli 8 anni, i bambini che hanno partecipato al percorso sono rimasti “a bocca aperta” nell’apprendere i pericoli della rete e le conseguenze dolorose che un solo gesto – anche quando scherzoso nelle intenzioni – può avere su chi lo riceve o ne è oggetto. La rete per loro non è più un posto dove poter fare quello che si vuole indisturbati e nascosti, “tanto non accade nulla”. Anche la vittima ha preso forma, ha acquisito un’identità: non è più “uno qualsiasi” su cui sfogare la rabbia e la frustrazione, il “nessuno” alle cui spese salire alla ribalta. L’altro è diventato “uno come me” che soffre e gioisce come me, che ha i miei stessi bisogni di bambino e adolescente. Un’opportuna educazione emotiva e il rispetto di me stesso e dell’altro rimangono sempre la chiave di volta. Come “comunità educante” stiamo cercando di diffondere il metodo nelle scuole elementari e medie coinvolgendo mediatori, volontari, istituzioni e insegnanti. A breve – in collaborazione con l’Istituto HFC di Roma (www.istitutohfc.com).- sarà disponibile un percorso formativo ad hoc per operatori e insegnanti.
Chiunque sia interessato può contattarci via mail associazione@mediamo.info. I nostri ragazzi hanno bisogno di tutta la nostra attenzione. Autrice: Raffaella Viola r.viola@mediamo.info